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Un maestro del ’500 riaffiora dalla storia e rispunta in un’asta – Lorenzo Fasolo

Lorenzo Fasolo, a Pavia una via ricorda la sua importanza La tavola in gara a Vercelli con una base di 50mila euro

 
La Provincia pavese – 27 ottobre 2015 pag. 53
Un maestro del ’500 riaffiora dalla storia e rispunta in un’asta
 
di Fabrizio Guerrini
 
Un maestro del ’500 riaffiora dalla storia e rispunta in un’asta 
PAVIA. Lorenzo Fasolo, pittore del rinascimento pavese, riaffiora dal passato e viene gettato nel presente del mercato dell’arte: quanto costa una sua grande natività su tavola, dipinta nel Cinquecento? Si parte da 50mila euro, ma si potrebbe arrivare anche al doppio accettando le regole dell’asta. Comunque vada, è una storia tutta da raccontare tra arte , mercato e collezionismo.
 
Al centro dell’intreccio c’è un ’opera di Lorenzo Fasolo detto anche Lorenzo da Pavia (dove nacque nel 1463). Il Fasolo è firma significativa della storia artistica locale al punto di giustificare l’esistenza a Pavia di una via: via Fasolo, appunto. Artista di vaglio per il suo tempo anche non certo una pop star: figura nell’elenco dei pittori che furono convocati da Ludovico il Moro nel 1490 per affrescare alcune sale del Castello Sforzesco. In realtà il buon Lorenzo il successo lo ottenne tra Genova e Savona: nel 1495 raggiunge la Repubblica insieme al figlio Bernardino (giudicato dagli esperti persino superiore al padre). In Liguria dipinge il «Compianto di Cristo» nella chiesa di San Bernardino di Chiavari e la Natività con San Francesco e il Beato Ottaviano ora conservata nella pinacoteca di Savona. Una sua Genealogia della Vergine è oggi conservata al Louvre. Ma Lorenzo Fasolo risulta pur sempre un pittore nato a Pavia di cui, ora, riappare una sua Natività su tavola. E non è una tavoletta: 1,90 d’altezza per quasi un metro di larghezza. Si può persino comprare: andando il 7 novembre a Vercelli, dove ha sede la Meeting art, la più importante casa d’aste italiana. Il grande Fasolo figura nell’ultimo catalogo di arredi e altri importranti dipinti . Lotto 477 che andrà in gara sabato 7 novembre. Si parte dalla base d’asta di 50mila euro, con rilanci minimi di 5mila euro. Lastima dell’opera si aggira tra i 90-100mila euro, ma è una valutazione che può essere anche superata.
 
Chi lo comprerà dovrà poi versare il 23 per cento dei diritti d’asta (ovvero altri 11,500 euro nel caso lo si prenda alla base d’asta). Con un avviso: il dipinto è stato notificato dallo Stato Italiano e dichiarato di particolare interesse arristico e non potrà essere esportato. Pezzo pregiato.
 
«La Natività del Fasolo è uno dei top lot dell’asta – spiegano Alessandro Brughera e Samuele Mosca, esperti di antiquariato e arte antica della casa d’aste vercellese – Come annotiamo nella scheda di presentazione, il dipinto è considerato uno dei rari dipinti in grado di raccontare il passaggio artistico tra Quattro e Cinquecento della pittura lombarda e ligure». Ma la Natività di Lorenzo da Pavia come è arrivata a Vercelli? La scheda dell’opera indica il dipinto inizialmente presente nella collezione di opere conservate nel castello di Pocapaglia in provincia di Cuneo (castello storico che ospitò tra l’altro Umberto di Savoia). Quindi è accertato il passaggio nelle mani di uno storico e rinomatissimo negozio antiquario torinese: ovvero le Antichità di Pietro Accorsi . Pietro Accorsi ovvero uno dei più importanti antiquari italiani del Novecento in stretto contatto, per le sue competenze, con i piani alti della monarchia sabauda e, in particolare, proprio con Umberto di Savoia. Negli anni cinquanta il dipinto passa dal grande antiquario ad altri collezionisti (anonimato di prassi, di certo si sa che non
 
sono lombardi). Un esperto pavese viene chiamato per capire come valorizzarlo dal punto di vista economico. Lorenzo da Pavia in viaggio: dal castello Pocapaglia dove soggiorna Umberto di Savoia a Pietro Accorsi suo antiquario di fiducia per finire in asta a Vercelli. Si parte da 50mila euro.
 
“Comprarlo? Altre cose ci sono sfuggite” – I Musei Civici tra progetti e poche risorse.
 
“Comprare il Fasolo per portarlo ai Musei Civici? Con le risorse si potrebbero fare tante cose. Ma non abbondano”. Susanna Zatti, direttrice dei Musei Civici (nella foto), da tempo si districa tra progetti culturali e disponibilità finanziarie. Non è una storia esaltante. “Non siamo riusciti ad acquistare, per prezzi decisamente minori, il bozzetto originale della Minerva di Messina e una lastra di un’antica incisione della Battaglia di Pavia”. Di certo il Fasolo avrebbe la sua ragion d’essere a Pavia. “Del figlio Bernardino abbiamo un dipinto in Pinacoteca – spiega Davide Tolomelli, esperto di pittura rinascimentale dei Civici Musei – Di Lorenzo sappiamo essere alcuni affreschi nell’ex caserma Calchi. L’opera è interessante, colpisce il frammento di cornice. Di certo era la parte centrale di un polittico. Andrebbe visionato per capire la portata dei probabili restauri”. Sul significato dell’opera non ha dubbi chi l’ha studiata da vicino. Luca Sforzini, perito iscritto alla Camer
a di Commercio di Pavia, dice : “Quando mi è stato chiesto di valutare la possibile collocazione sul mercato, sono rimasto colpito dall’integrità e dalle dimensioni della tavola. In essa si vedono i tratti distintivi della pittura del tardo Quattrocento tra Lombardia e Liguria. So anche che la Soprintendenza di Belle Arti piemontese ne consiglia l’acquisto per la Galleria Nazionale della Liguria a Palazzo Spinola, Genova. Mi chiedo se Pavia non possa far tornare a casa la testimonianza di un suo maestro”.
 

Il Duce, l’antiquario e Lorenzo Fasolo da Pavia

OTT 30
Pubblicato da Fabrizio Guerrini
 
Il quadro riprodotto qui sopra è   di Lorenzo Fasolo, andrà in asta sabato 7 novembre nell’asta Meeting Art di arredi e dipinti antichi di Meeting Art (sotto a guisa di nota a margine la scheda completa dell’opera) . E’ una grande (se non altro per le dimensioni: 1,90 x95)) tavola del Cinquecento. L’ha dipinta Lorenzo Fasolo detto anche Lorenzo da Pavia (dove nacque nel 1463,morì poi a Genova nel 1518). Manierista, come tanti furono i manieristi della pittura lombarda tra Quattro e Cinquecento (alterati e vivacizzati  dalla scuola leonardesca). Pittore di bottega e anche di sua bottega (il figlio Bernardino, giudicato  decisamente più talentuoso, fu sempre al suo fianco), Lorenzo Fasolo (che ha una via dedicata  a Pavia) non abbonda sul mercato antiquario. E come  sempre accade quando riaffiora di colpo un’opera così grande, rara e antica ci si chiede sempre da dove venga oltre a alimentare la curiosità su dove andrà, se andrà: base d’asta 50mila euro. Vabbè, facciamoci, dunque, questo giro tra storia, arte e mercato con la domanda di cui sopra: da dove arriva una tavolona del Cinquecento lombardo?  Partiamo, dunque. Partiamo, però,  un po’ da lontano, da questo altro dipinto.
 
E’ il ritratto “Trivulzio” di Antonello da Messina. L’uomo che ci guarda con fermezza appena venata di ironia è uno dei ritratti più celebri della storia dell’arte. Antonello fu in Italia l’interprete più sensibile e originale dell’”ars nova” fiamminga. Il realismo di derivazione nordica dei dettagli,  i tratti del volto acutamente indagati sotto il profilo psicologico, la resa materica del panno del vestito, fino al particolare illusionistico del cartellino con la firma e la data fissato con la ceralacca sul parapetto si equilibra con la rigorosa spazialità del Rinascimento italiano. Fino al 1935 questo capolavoro assoluto apparteneva alla Collezione Trivulzio Belgioioso di Milano (proveniente   dalla galleria- collezione dell’eredità Rinuccini di Firenze dove fu acquisito nel 1850). La collezione Trivulzio Belgioioso, fino alla metà degli anni Trenta, fu probabilmente uno dei  più imponenti agglomerati di capolavori dell’Europa intera con gioielli pittoricicome la Madonna Trivulzio di Filippo Lippi, la Madonna in Gloria del Mantegna, la Madonna con Bambino del Solaro e altre opere che ora sono esposte alla Pinacoteca del Castello Sforzesco di Milano . Erano tutti quadri dell’ex collezione Trivulzio. Tutti, tranne il Gentiluomo di Antonello e il Libro d’ore miniato dal Van Eyck (immenso capolavoro d’arte libraria) che sono patrimonio del museo civico di Torino. Perchè questa separazione di capolavori un tempo insieme che si è  consumata tra Torino e Milano? L’affare legato alla collezione Trivulzio Belgioioso fu, in realtà, una bella e gustosa grana politica per l’Italia fascista degli anni Trenta. Una vicenda che spinse lo stesso Mussolini a dover scendere in campo per sedare una tensione poco fascistissima e molto italica, l’Italia dei mille campanili. Al centro del caso c’è, soprattutto,  questo signore.
 
Si chiamava Pietro Accorsi, è probabilmente il più importante e influente antiquario che abbia mai operato in Italia perlomeno per gran parte del Novecento. Le Antichità di Pietro Accorsi è stata il negozio di Torino (che pur  abbonda di pregiatissime librerie e attività antiquarie) più  frequentato e consultato da mecenati e grandi collezionisti. Alla sua morte , sulla scia del suo gigantesco e meticoloso lavoro di reperimento e raccolta/tutela di opere d’arte, un patrimonio inestimabile di professionalità e ricerca, è stata creata una Fondazione.  Accorsi torinese era l’uomo da contattare se si aveva voce o desiderio  e soprattutto risorse, per seguire una rara e inestimabile collezione. E’ quello che fa, all’inizio degli anni Trenta, Umberto di Savoia, erede al trono, appassionato (e molto) di antichità. La mission che affida con grande discrezione ad Accorsi è quella di trattare l’acquisizione della collezione milanese Trivulzio Belgioioso per trasferirla chiavi in mano a Torino. Compreso il Gentiluomo di Antonello da Messina in viaggio da Firenze, a Milano e quindi a  Torino la culla sabauda. Apriti cielo! Il podestà di Milano legge sulla Stampa i retroscena della trattativa e diventa nero (più di quello che già era). Forse neppure sapeva, fino a quel momento, di quei quadri albergati tranquillamente sotto un nobiliare tetto di Milano, ma che adesso li portassero via per darli ai mangiatori di giunduiotti era insopporabile.  Torino era fascista e Milano pure, ma Milano valeva più di Torino e c’era qualcuno più fascista di un altro… Lotta di podestà. Quello di Torino chiaramente non molla la presa e poi, sotto sotto,  sa di poter contare sull’appoggio di un pretendendente al trono. Che facciamo? Chi conta di più? Il podestà di Milano accetta il braccio di ferro e gioca pesante…
 
…chiama il Duce. Mussolini ha adesso un problema: i due galli-podestà del suo pollaio. Quadri, quelli litigano per i quadri. Brutta storia che Benito non può certo prendere di petto (benchè temprato da mille battaglie del grano): se dà ragione al torinese, rischia di incrinare  il rapporto con i fascisti milanesi che contano e hanno anche i  danè. Se, invece dà ragione al milanese deve poi vedersela con i mugugni del Re oltre che del suo rampollo. Anche per Mussolini ritorna, così.,d’urgenza, l’uso di uno dei più efficaci metodi di lotta politica in Italia:  il compromesso. Allora, si faccia così: a Milano restino due pezzi pregiati e il resto vada a Torino. Nella partita resta in gioco il buon Pietro Accorsi che, da par suo, sta cercando di salvaguardare comunque la collezione e il suo significato senza dimenticare di essere torinese.  La collezione? Meglio che il grosso resti a Milano, ma Torino abbia due gemme. Il fascistissimo tira e molla finisce così con buona parte della collezione Trivulzio Belgioioso a Milano, ma con due chicche trasferite a Torino (ovvero l’Antonello da Messina e il Van Eyck ). Accorsi ha lasciato il segno senza scontentare nessuno e rendendo le due città più ricche d’arte.  E non solo loro. Accorsi, infatti, nel suo negozio ha anche un altro dipinto antico. Quello di Lorenzo da Pavia. Che, prima di essere nelle sue disponibilità era qui…
 
…e qui è il castello di Pocapaglia in provincia di Cuneo. Il suo ingresso è “epico”, fa scuola. La tradizione attribuisce il portale al Sansovino, ma non è documentato; certo è che Filippo Juvarra, chiamato a ristrutturare il castello dopo l’incendio provocato dall’armata francese, ne fu  impressionato tanto da ispirarsi per gli stipiti interni di Palazzo Madama. Ma il maniero ha anche un altro importante link con la storia: tra il 1939 e il 1940 l’erede al trono Umberto di Savoia si ritirò proprio  a Pocapaglia per riflettere, prima di veder intraprendere la guerra contro la Francia. La guerra del Duce. E di quei giorni bui per lui e, di lì a poco,  per il Paese ci sarebbe da scrivere. Ma non  è questo il posto o il post giusto. Qui la questione è un’altra. E’ la tavola di Lorenzo Fasolo. Una tavola e un po’ di fantastoria. Dunque, riassumiamo. Il principe Umberto è a Pocapaglia. Deve riflettere sui destini di una nazione e (ma non lo sa) della sua stessa dinastia. Si distrae,  l’Umberto girando in questi arcani e antichi spazi:  magari degustando un buon rosso e guardando il paesaggio. Ma, soprattutto, è probabile, ammirando arredi e dipinti conservati nelle storiche sale. Lui è un grabde appassionato. In una di esse c’è proprio la tavola di Lorenzo Fasolo, quella che ora va in asta a Vercelli. Stop. Da qui in poi il tasso di storia romanzata aumenta sensibilmente. Su un dato certo, però: la tavola del Fasolo passa dal castello di Pocapaglia alle Antichità Accorsi di Torino.  Quelle gestite dal fiuto di Pietro Accorsi, l’antiquario che, spesso, parla di cose belle e antiche con Umberto di Savoia. Acquisizioni e trasparenti trattative salvando l’arte dall’oblio: bisogna però avere l’imbeccata giusta. E Umberto è passato da Pocapaglia. Coincidenze…
 
Quando l’arte viaggia dalla storia al mercato serve la mediazione, più o meno competente, di operatori più o meno professionali. Va subito detto però come in questa storia non ci siano episodi di vulnus d’arte. C’è, invece,  una tavola del Quattro-Cinquecento che cerca un nuovo muro a cui essere appesa svelando in questo suo viaggio risvolti in parte inediti.  La Natività di Lorenzo Fasolo, dunque. Rieccoci a lei. L’ha vista e studiata molto da vicino, prima di essere resa di dominio pubblico su un catalogo d’asta della Meeting art, Luca Sforzini,  perito della Camera di Commercio di Pavia (sua la foto accanto a un caravaggesco). Come l’illustre precursore di tutti gli antiquari colti d’Italia , ovvero  Pietro Accorsi, Sforzini si mette spesso sulle tracce di collezioni antiche possibilmente con l’intento di non smembrarle. Rispettando l’oggetto del suo lavoro. In questo caso il Fasolo, di cui deve essere rispettato prima di tutto il vincolo del Ministero perchè l’opera non sia venduta oltre confine. Infatti va in asta a Vercelli.Ma chi può comprarla, di qua dal confine? <Sarebbe bello che ritornasse a Pavia _ dice _  Io ho avuto la possibilità di esaminarla e di seguirne i suoi più recenti movimenti. E’ una bella testimonianza della pittura lombarda e ligure tra Quattro e Cinquecento, visto che il Fasolo operò a lungo nell’ambito della Repubblica di Genova. Potrebbe essere la parte centrale di un polittico come attesta anche il prezioso lacerto di cornice lignea. L’opera è, comunque, molto vicina a un’altra  natività oggi conservata alla pinacoteca di  Savona. Il luogo ideale per ospitarla sarebbe proprio una pinacoteca pubblica>. Servono però 50 mila euro almeno, per dare un nuovo inizio alla Natività del Fasolo. Passata da Pocapaglia, all’antiquario dei re ed ora a Vercelli. E dopo?